Nudo, come un cretino

di Leon Marchi

Discreto, allegro, asciutto nel fisico e nel modo di fare, intendendosi di tutto e industriandosi su tutto, mai perdendosi d’animo e buttandosi nelle faccende con caparbietà e coraggio, Federico, in quel periodo, non si vedeva in giro, impegnato con tutte le forze a rendere produttivo il pezzo di terra inaridita (che gli era costato 3/4 dei risparmi), confinante con la propria casetta, accanto alla quale, per mancanza di spazio, aveva potuto costruire soltanto la legnaia e la cuccia per Amico. Il Paradiso (così aveva chiamata la nuova proprietà, con l’intento di cancellare le pene dell’inferno e del purgatorio patite per mettere da parte la cifra pretesa da quel vecchio usuraio, che più volte glie l’aveva  [glie la/lo/li/le, in analogia con me la/lo/li/le, ce la/lo/li/le, ecc.]  spudoratamente maggiorata), oltre ad offrirgli spazio a sufficienza per l’orto e una serra, gli consentiva di realizzare il tanto desiderato ripostiglio-officina e il barbecue in mattoni e pietra.

     In quei mesi di fatica e sudore, comparendo ogni dieci giorni per acquistare le provviste, alle donne dedicò uno sguardo distratto, filando diritto per la propria strada, avendo mille pensieri per la testa e neanche un istante da perdere. Il giorno che decise di meritare un po’ di riposo, essendo scapolo e in ottima salute, capì subito da che derivava l’inquietudine serpeggiante nel proprio essere, solitamente calmo: aveva desiderio di una donna. Con meraviglia, notò che due se lo mangiavano chiaramente con gli occhi, mentre un’altra… Essendo già sposate, le preferì a un paio di ragazze, che, gira e rigira, giustamente, miravano al matrimonio, al quale egli non voleva pensare, ancora per un po’. Delle tre (facendole l’occhietto) scelse la terza, che gli inviava il proprio messaggio in modo intenso ma accorto.

     S’incontrarono presso il ponticello.

     Jole gli disse subito che, essendo sposata, non dovevano farsi vedere insieme.

     Federico propose di andare nel bosco: a un suo cenno, lui sarebbe andato avanti, aspettandola poi al ponticello.

     «Non oggi: posso due volte la settimana… giovedì e un altro giorno… ti dico io quando,» lo informò, salutandolo e lasciandolo lì.

     Guardandola da dietro, ammise che era una bèla dòna  [bella donna].

     Le cose filavano a meraviglia: perché Jole due volte la settimana gli si concedeva con passione; perché Federico, amante dolce e ardente, dimostrando di valere mille volte più di quell’ubriacone del marito, la assolveva dall’accusa di tradimento mossale, a volte, all’improvviso, dalla coscienza. Lei gli era grata perché aveva trasformato il luogo dei loro incontri in rifugio accogliente, protetto da ogni lato e pavimentato con legna raccolta nel bosco; lui le era grato perché, nel farlo sentire uomo, lo aiutava ad essere delicato e attento, a non mancarle di rispetto, o a commettere qualcosa che potesse porla in allarme o in sospetto, essendo un’anima buona e trasparente, colpita dalla vita in modo duro. Erano insieme da tre mesi, e, ogni volta che si rivedevano, avevano l’impressione che fosse la prima volta.

     Erano felici, per la possibilità che la buona sorte quel giorno aveva concesso a entrambi.

     Quel giorno Federico aveva terminato prima del tempo un lavoro, e passava davanti alla casa di Jole, mai immaginando che lei, uscita sulla porta, potesse sussurrargli: «Adesso, al ponticello…» Dimenticata di colpo la pipì, che non vedeva l’ora di fare appena arrivato a casa, si avviò verso il ponticello. Superato il quale, la necessità di liberarsi dalla pipì divenne impellente, al punto che, non trattenendola più, alquanto imbarazzato per la situazione, ostregheta!  [perbacco!]   le disse di andare avanti perché doveva fare “una cosa“; e, desiderando lei sapere che cosa, spazientito, le disse: «Vai avanti, ostregheta! è una cosa…», non spiegando che cosa essa fosse.

     Vederlo allontanarsi e appartarsi così misteriosamente dietro un cespuglio, in Jole, oltre al malumore derivante dall’essere lasciata sola, si aggiunse la paura che quel posto incuteva, dove anche il più lieve rumore la faceva sobbalzare. La “cosa” che lui doveva fare, di cui si era ostinato a non darle alcuna spiegazione, andando avanti, come lui perentoriamente le aveva ordinato, assunse, a ogni battito del cuore, forme e significati sempre meno rassicuranti, che, suggestionata dal posto, la portarono a temere il peggio.

     Sarebbero bastate poche parole, una battuta scherzosa, che li avrebbe fatti ri­dere insieme, e la bomba non sarebbe esplosa, rifletté poi Federico, quando ormai tutto era andato a ramengo: in malora, in rovina. Cavolo! per una stupidaggine, Jole, non volendo sen­tire ragione, aveva rotto con lui, che troppo tardi si affannava a spiegarle i motivi veri di quel suo misterioso allontanarsi e appartarsi, e di quel suo ridere forte, con­vulso. Cavolo! proprio quel giorno, a pranzo, aveva mangiato i broccoli, per i quali an­dava matto. Se avesse soltanto immaginato che Jole le avrebbe sussurrato: “Adesso, al ponticello…”, non li avrebbe mangiati, ben sapendo che quell’ortaggio lo mandava al bagno, a fare la pipì, più volte, anche a distanza di dieci, venti minuti. Quando le cose vanno storte, non c’è niente, proprio niente, che possa rimetterle sul binario giusto, ostregheta! Sì, le aveva detto di an­dare avanti perché doveva fare “una cosa” e, per la fretta di farla, non si era fer­mato a spiegarle che cosa essa fosse; ma ciò che la mandò in bestia fu quel suo ri­dere, non tanto la prima volta, quanto la seconda.

     Per capire, occorre ricostruire i fatti, partendo dall’inizio. Dunque, mentre la sua dòna si allontanava lentamente in una direzione, Federico velocemente si allonta­nava verso la parte opposta; fermatosi poi sul ciglio del viottolo, finalmente indi­rizzò giù lo zampillo caldo. Subito non sfuggì al suo udito allenato che la pipì, ca­dendo in basso, produceva un rumore diverso da quello delle altre volte che aveva fatto la pipì nella boscaglia. Guardò giù: la pipì era andata addosso a due che facevano all’amore là sotto. L’uomo, là in basso, scotendo la testa, rivolse lo sguardo in alto; la donna, restando distesa, mormorò qualcosa; tuttavia, poiché stavano met­tendo le corna all’inconsapevole marito e alla inconsapevole moglie, filosofica­mente (lui soprattutto, la cui testa era stata centrata dallo zampillo) se ne restarono lì buoni, sia per mantenere ignota la loro identità di fedifraghi, sia perché era dav­vero un peccato interrompere l’atto così ben avviato. Si allontanò Federico veloce­mente, dispiaciuto di quanto era accaduto, immaginando per un momento di es­sere al loro posto; ma, non essendo al loro posto, rivedendo la scena e trovandola co­mica, non riuscendo a trattenersi, scoppiò a ridere, a ridere forte, ostrega! E, ri­dendo, raggiunse la sua dòna; la quale, fuori dalla grazia di Dio, gli fece subito ca­pire che c’era poco da ridere, tanto da ricacciargli dentro il riso. Questo, tuttavia, anni­dato in gola, gli uscì improvvisamente poi, nel momento più inoppor­tuno: nel bel mezzo dell’atto, nel momento in cui Jole, prossima al coito, lo inci­tava a proseguire con quel ritmo, che era quello giusto, quello che la faceva impaz­zire di piacere. Rise anche lei; ma si arrabbiò poi, quando, sollecitato a smetterla, non ci fu verso: egli continuò, non riuscendo più a combinare un ostrega e rovi­nando irrimediabilmente l’atto.

     Jole, ora, seduta, lo guardava, indecisa sul da farsi; poi, levatasi, non trattenen­dosi più, gli scaricò addosso quanto il comportamento strano di Federico, al­lontanatosi perché doveva fare “una cosa“, gli aveva fatto pensare: si era fer­mato, si era fermato per… Era un drogato… un cretino, imbecille, che si metteva a fare quelle cose!… Vestendosi, ora, continuava a guardarlo, in silenzio, mentre lui, ancora di­steso, di tanto in tanto rideva; indossate le scarpe, gli chiese: «Che cosa ti sei fer­mato a fare prima?» Federico, sedutosi sul giaciglio, allungando la mano verso la sua, intenzionato a raccontarle tutto, disse: «È tutta colpa…»; ma non riuscì ad an­dare oltre: scoppiò a ridere, a ridere.

     «Ma vai in malora, porco d’un can!» le disse lei, andando via di corsa, e lasciandolo lì nudo, come un cretino, a mormorare tra sé, nell’intervallo tra uno scoppio di risa e l’altro: «È tutta colpa…»

     Uscendo alla fine, e inviando fuori dal rifugio l’abbondante pipì raccoltasi nella vescica, decise di raccontare tutto a Jole per iscritto (non a voce, perché non sarebbe riuscito a rimanere serio), sperando che anche lei ci avrebbe riso sopra.

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